Abisso Claude Fighiera (Lucca): prima puntata (dodicesima nel complesso del Corchia)
Buca del Becco - rami del Becco - ramo B del Becco - Corno Destro - Corno Sinistro - salone Meinz - pozzo dei Titani (antro del Corchia)
16/10/2011
Fabione ed io mai avevamo messo piede nel Fighiera... considerato poi che fino al giorno prima non sapevamo se saremmo andati in grotta, ed eventualmente in quale, e che una volta deciso dubitavamo fortemente della capacità della jeep, con me al volante, di salire lungo la disastrata pista d'accesso alla cava in cui si apre la buca del Becco (l'ingresso più frequentato), quindi che neppure immaginavamo cosa avremmo trovato all'interno dell'intricato abisso e soprattutto fin dove saremmo potuti scendere con la sola corda da 60 in nostro possesso, credo sia stato un buon risultato l'essere arrivati aldilà del pozzo dei Titani, cioè dentro l'antro del Corchia!
Nello stesso punto giungemmo un paio di anni fa (relazione precedente) provenendo dalla buca di Eolo e percorrendo interamente i rami di Valinor; piuttosto stanchi tornammo indietro e uscimmo dalla grotta turistica... ne consegue però che ora siamo in grado di affrontare una delle lunghe, spettacolari traversate Fighiera-Corchia senza l'ausilio di uno "speleologo-guida" capace di muoversi in questi ambienti ipogei tanto estesi da apparire senza fine.
Occorre segnalare subito due particolari importanti: 1) per affrontare senza patemi d'animo il pozzo che si trova pochi metri dopo l'ingresso del Becco è necessaria una corda da 70; 2) è stata tolta (perché si lesionava spesso) la corda fissa che, una volta arrivati nei rami di Valinor, permetteva di scendere dalla galleria Derzu nel salone Nostradamus (P28), per cui durante la traversata va approntata una "doppia" anche lì (ed evidentemente non è più possibile il percorso inverso, quello che tempo addietro avevamo fatto noi).
L'interno del Fighiera è complesso perché innumerevoli sono le ramificazioni più o meno significative, probabilmente neppure tutte esplorate; le zone che abbiamo attraversato non sono particolarmente ampie, per cui sorprendono gli enormi spazi vuoti che quando oramai non ci se lo aspetta più si aprono. Già colpiscono il salto iniziale e, ad esempio, il pozzo dell'Asino, tuttavia quelli che lasciano senza fiato per la meraviglia, per l'emozione, che appaiono maestosi e impressionanti sono il salone Meinz e il pozzo dei Titani.
Non abbiamo avuto grossi problemi ad orientarci, ma non riesco a valutare quanto ci abbiano aiutato esperienza e tranquillità, in definitiva l'abitudine a girare per conto nostro in ambienti articolati e complessi come ad esempio il buso della Rana o la grotta del Fiume a Frasassi; di certo è fondamentale avere con sè un buon rilievo e saperlo leggere, notare tanti piccoli particolari e imparare in fretta ad interpretare i numerosissimi segnali presenti. Utili sono state le freccette catarifrangenti gialle all'andata e rosse al ritorno, quelle nere e a volte arancioni dipinte sulle pareti, le scritte a identificare alcuni incroci con altri rami, le targhette metalliche dei capisaldi e gli "ometti". I punti di maggior passaggio sono riconoscibili grazie a tracce, strisciate, pietre calpestate o sistemate più o meno volontariamente per facilitare il transito, mentre la mancanza degli stessi segnali in molti degli anfratti o delle gallerie laterali ne indica la rarissima frequentazione da parte degli speleologi; abbiamo infine riscontrato una sensibile corrente d'aria che in alcuni momenti è risultata preziosa: al ritorno per un paio di volte siamo andati fuori strada e in entrambi i casi dopo qualche minuto passato a girovagare abbiamo rimediato grazie alla percezione della stessa.
Come arrivare alla buca del Becco:
si percorre la strada che da Seravezza sale verso la galleria del Cipollaio (e porta a Isola Santa e a Castelnuovo Garfagnana); si lasciano a destra le deviazioni per Levigliani, a sinistra quella per Terrinca e si prende la successiva a destra che a tornanti guadagna quota nel bosco. Giunti al panoramico passo Croce ci si trova davanti un tratto piano e subito un bivio: si ignora la pista che a destra va ad una cava (sbarra) e si prosegue sulla sterrata a sinistra che taglia il versante occidentale del monte Corchia e permette di raggiungere l'ampio spiazzo di Fociomboli, in cui è consigliabile lasciare le auto normali (o poco prima, visto che negli ultimi 100 metri passano agevolmente solo i fuoristrada). Restando a destra ci si immette in una evidente stradina disastrata (da qui all'ingresso sono necessari 45' a piedi, o 20' con una jeep). Si sale con continuità, spesso su pietre, superando qualche strappo e alcuni tornanti; dopo uno di questi a destra, si arriva a un comodo slargo pianeggiante dove parcheggiare (1480 metri circa slm). Si continua a piedi (5/10') sulla pista fino al suo termine, rasentando una prima cava abbandonata e arrestandosi di fronte alla seconda: a sinistra, qualche metro sopra a un caratteristico taglio perpendicolare, un vero e proprio diedro artificiale di marmo bianco striato, e sotto a un pilastro e a un brutto canale franoso, si apre la buca del Becco; una breve traccia su un conoide erboso consente di accedervi:
coordinate ED50: N 44°02'14,7" - E 10°17'31,9" quota: 1559m slm
Descrizione dell'itinerario percorso:
- Il piccolo ingresso, sormontato da 3 massi incastrati, precede di pochi metri il primo pozzo (saltino, ripido scivolo e notevole verticale nel vuoto di una quarantina di metri): occorre una corda da 70 per armarlo correttamente (noi abbiamo solo una 60, ma con semplici acrobazie e un po' di fantasia in fondo ci arriviamo ugualmente...). Alla base scendiamo nel ripido pendio di grossi detriti ed enormi macigni (attenzione agli sprofondamenti) fino alla zona più bassa e distante, dove troviamo l'imbocco, con armo abbastanza esposto (da qui in avanti al momento ci sono corde fisse), di un bel P30. Sotto, nei pressi del punto d'arrivo, un bucanotto ci consente di entrare in uno scomodo meandrino che cala rapidamente; usciamo in un ambiente più largo, in pendenza, con subito una galleria a destra... qui al ritorno avremo qualche dubbio, risolto notando il pipistrellino che ancora dormiva nella stessa posizione, vicino a un fix, del regolare condotto laterale e immediatamente dopo una freccetta catarifrangente rossa piazzata con ammirevole arguzia (da questa bassa camera non si individua facilmente la partenza del meandrino che porta verso l'uscita).
- Ignoriamo la galleria e scendiamo lungo il pendio tendendo un po' a destra; presto le dimensioni calano e un nuovo bivio ci costringe ad un attimo di riflessione: sulla parete una "F" (?) nera indica il comodo cunicolo a destra, mentre una "V" o "U" dello stesso colore di tenersi a sinistra, cosa che facciamo noi principalmente per due motivi: il passaggio è ampio tanto da camminarvi e vogliamo credere che "V" significhi: "Vai, Vai, Vai Verso Valinor"... Controllando in seguito il rilievo, a mente fredda e con attenzione, mi sono convinto che questo fosse il punto in cui il ramo A del Becco, quello lasciato a destra, si stacca dal ramo B.
- Continuiamo a scendere e presto entriamo in una seconda, bassa camera: in questo ambiente e in quello successivo, un po' caotici, avremo al ritorno qualche problema di orientamento... nulla di particolarmente drammatico perché non esistono diramazioni significative, ma ci risulteranno utilissimi per individuare la via d'uscita un "ometto" e la corrente d'aria. Arriviamo finalmente a un incrocio importante con chiarissime indicazioni verniciate sulle pareti: la grande galleria a destra porta verso il Farolfi, mentre quella a sinistra condurrà noi verso il salone Meinz.
- Ora è molto più semplice progredire verso la nostra meta: il condotto è ampio, occorre aggirare un primo, rilevante sprofondamento (traverso con corde fisse) vicino al quale, dall'alto, sbuca il ramo A del Becco, e tenersi in quota quando ne appariranno altri, meno insidiosi, sulla sinistra. Camminiamo a lungo in quello che si chiama Corno Destro, ignoriamo la scritta che a sinistra ci indica il miglior punto d'accesso alla complessa zona del Nodo dell'Om e, guidati da freccette, segni vari e impronte giungiamo al vecchio campo base. Da notare che le varie diramazioni presenti a destra e sinistra non inducono mai in errore perché risulta subito evidente come rientrino nel percorso principale o propongano alternative nettamente meno invitanti dello stesso.
- Controlliamo il rilievo e capiamo che adesso nulla ci fermerà: l'obiettivo minimo era di non perdersi, ma in cuor nostro speravamo di riuscire a vedere il logoro telo di plastica nei cui pressi ci siamo accucciati, ora però sappiamo che l'area più complessa è alle nostre spalle mentre il salone Meinz e il pozzo dei Titani, quindi i rami di Valinor nel Corchia, si trovano ad una distanza limitata, basta quindi un cenno d'intesa fra noi per decidere di andare avanti. Lasciamo il modestissimo riparo e la corda rossastra che un metro più in là si infila in un bucanotto a sinistra e passiamo in una camera dove da un oblò in alto a destra ne pende una seconda (probabile che questo sia il punto d'arrivo del ramo "storico" proveniente dalla buca del Cacciatore, l'ingresso che si apre a due passi dalla cima della montagna e dai ruderi del famoso bivacco speleologico).
- Percorriamo il Corno Sinistro e presto siamo in un ambiente basso, ma più ampio e con deviazioni: continuiamo a scendere tenendoci a sinistra e imboccando così una galleria dalla forma regolare e dalla forte pendenza (sono evidentissime le scivolate sulle ripide lastre rocciose erose); lasciamo a destra il ramo Minosse (scritta sulla parete) e arriviamo in una sala a suo modo inquietante: di fronte abbiamo uno sprofondamento e a sinistra un buco nero dalle dimensioni notevoli che ci sorprende perché ne percepiamo la presenza all'improvviso (fino ad ora, se si escludono i salti iniziali, l'abisso non ci ha mostrato i suoi pozzi maggiori). Su un masso c'è la targhetta che segnala il caposaldo 60: "Perfetto, è il pozzo dell'Asino... spostati dall'orlo, Fabio, ci sono posti con un nome più dignitoso in cui accopparsi mentre ci si sporge per curiosare... pensa che umiliazione se poi ci mettono una targa ricordo... dobbiamo andare a destra, dalla parte opposta, in quella galleria che sale leggermente..."
- Un paio di minuti e ci affacciamo sul salone Meinz, che ci lascia senza parole: è vastissimo, esageratamente buio! Una corda permette di spostarsi più o meno lateralmente in parete, poi di scendere alla base (P20). Occorre camminare su massi e detriti per almeno 50 metri prima di raggiungere il lato opposto di questo immenso spazio vuoto, dove troviamo un camino e la corda approntata per risalirlo: passiamo da una vera e propria botola e sbuchiamo su una cengia detritica (corda fissa) ad una decina di metri d'altezza sullo stesso salone... da qui, se possibile, appare ancora più grande, più oscuro e le nostre misere fonti luminose sono solo inutili puntini biancastri perduti in un oceano tenebroso.
- Entriamo in un'ampia frattura, ci caliamo in un pozzetto, risaliamo un pendio detritico e arriviamo sul bordo del pozzo dei Titani: è un bel bucone, ma lo apprezziamo di sbieco e al momento non fa molta impressione... ben diverso sarà l'effetto tra poco, durante il suo attraversamento in quota necessario per raggiungere una finestra sul lato opposto, quella che consente di accedere alla vicina galleria Derzu, ai rami di Valinor, di continuare la fantastica cavalcata verso il salone Manaresi, nel cuore dell'antro del Corchia. Scendiamo in un comodo terrazzino e rimontiamo per un paio di metri fino a una breve galleria; la corda ci indirizza verso un pertugio di forma vagamente triangolare oltre il quale c'è il nulla: dobbiamo calarci e risalire nel vuoto per almeno una decina di metri... sotto il nero è assoluto e rende affascinante, magico un baratro senza fondo in cui si diluiscono fino a perdersi i raggi di luce, probabilmente una strada diretta per il centro della terra... affrontare passaggi simili regala emozioni difficili da descrivere, forti e preziose, tuttavia inaspettatamente inferiori rispetto a quelle che sto per provare... ... sono alla finestra, stacco i bloccanti, mi sposto, chiamo Fabio e mi siedo nel punto esatto in cui mi era capitato di farlo due anni prima: eravamo entrati nei rami di Valinor e dopo aver dormito nella tendina rossa del campo base li avevamo percorsi interamente seguendo come oggi solo il rilievo, l'aria, le tracce di passaggio e le segnalazioni... per conto nostro, senza la rassicurante compagnia di colleghi che conoscessero il percorso... la consapevolezza di essere in grado di individuare la via all'interno del Corchia e del Fighiera per completare la traversata per un attimo, meraviglioso, mi fa sentire grande, invincibile... poi l'eccitazione passa e torno ad essere il solito, mediocre speleologo che si allena caparbiamente per mantenere una forma appena accettabile e rimandare, purtroppo ancora per poco, l'inevitabile resa al passare del tempo...
"Cava abbandonata in cui si trova la buca del Becco"
"Taglio perpendicolare di cava sopra a cui si trova la buca del Becco (in alto: pilastro roccioso e canale detritico)"
"Pilastro roccioso e canale detritico sotto ai quali si trova la buca del Becco"
"Buca del Becco"
"Buca del Becco"
"Buca del Becco e attacco del pozzo iniziale"
"Pozzo iniziale"
"Pozzo iniziale"
"Pozzo iniziale"
"Sprofondamento nel Corno Destro"
"Corno Destro"
"Corno Destro"
"Corno Destro"
"Corno Destro"
"Campo base"
"Campo base"
"Salone Meinz"
"Salone Meinz"
"Salone Meinz"
"Pozzo dei Titani"
"Pozzo dei Titani"
"Pozzo dei Titani"
"Pozzo dei Titani"
"Pozzo dei Titani"
"Aldilà del pozzo dei Titani"
"Pozzo dei Titani"
Alcune foto sono di Fabio Belletti, dello Speleo Club Forlì |