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Articolo inserito in data 29/10/2008 23:42:41
Alpi Occidentali
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Alpi Pennine (Aosta) - BECCA LABIE (3462m)

29/07/2007

Becca Labie (3462m): canale del col d'Otemma (Alpi Pennine - Aosta)

- note: vallone senza sentiero, arrampicata breve in un canale e sulle rocce che lo delimitano, facile cresta per la cima
- ambiente: alta montagna
- dislivello: 120 m (+ 1630 m fra avvicinamento e cresta per la cima)
- difficoltà: I e II, un passo di III
- attrezzatura: salito e disceso in libera; presente un chiodo sopra al passo di III
- miei commenti: percorso facile, qualche tratto esposto, roccia spesso rotta; bellissimi il vallone che precede il canale e il glacier d'Otemma
- consigli: necessari i ramponi in caso di neve ghiacciata; attenzione al canale, che nelle ore calde può scaricare qualche pietra; prepararsi ad una discreta fatica... il luogo è strepitoso, ma il dislivello non scherza (1750 m)

Relazione

Non so con esattezza di che montagna si tratti, non l'ho mai vista.
Può capitare che da una cima ne noti un'altra, bella, con creste e canali che stuzzicano la fantasia, oppure che mi attiri una relazione, o una fotografia. Altre volte sfoglio una guida, quasi sempre quelle dei Monti d'Italia del CAI, scelgo una valle che non conosco, una via e il mattino dopo parto... questo è uno di quei casi.

Sono le 7.50 e lascio l'auto in località Chamen (1710m), qualche km prima della diga del lago di Place Moulin. In un attimo sono pronto e mi incammino. Cercherò di salire velocemente perchè il tempo è bello, ma la strada è lunga e ammesso che riesca a individuarla certamente non sarò in cima prima delle 13.00.

Giacca tecnica, guanti, picozza, ramponi, progetti e problemi, idee per risolverli che poi ne creeranno altri, persone da rivedere e altre da non incontrare più... come sempre in queste occasioni mi lascio cullare dall'immaginazione, da ragionamenti infiniti, improvvisi furori e momenti di tenerezza, di commozione, e paure... decido di tornare indietro almeno 10 volte, di cambiare obiettivo, poi mi eccito pensando al fatto di essere solo, in una situazione in cui nessuno può consigliarmi, indicarmi l'appiglio giusto, suggerirmi di rinunciare, o di insistere... sono piccoli trucchi ai quali riesco a ricorrere con facilità: la mente viaggia, le gambe pure, e poco mi accorgo dello scorrere del tempo e dei chilometri.

Lungo una noiosa sterrata oltrepasso l'alpe Grand Chamen e appena prima dell'alpe la Crotta, dove la strada termina, raggiungo 3 ragazzi di Biella. Stanno andando al bivacco della Sassa (2973m); mi fermo un attimo, gli nomino la mia meta, che non conoscono, e mentre li saluto mi indicano una piramide di roccia che pare chiudere la valle, dominarla, col fianco destro caratterizzato da enormi, splendide placche rocciose compatte e inclinate: "... magari è quella!", scherzano.

Cammino veloce. Le cime attorno sono bellissime, selvagge, complesse, repulsive direbbero le vecchie guide... eppure sono le mie, mi attirano come una birra in un rifugio dopo ore di marcia sotto il sole, ma ancora di più lo fa quella laggiù, lontana, staccata dalle altre, proprio davanti a me, con quelle inconfondibili lastre che ricordano... qualcosa che mi sfugge, che ho letto, ultimamente, ieri sera... mi fermo e dallo zaino prendo il libricino grigio che mi racconta delle Alpi Pennine, lo sfoglio e trovo la becca Labie, la descrizione: "... la parete sud-orientale... formidabile successione di placche molto lisce e inclinate... la parete orientale, alta più di 400 metri (inaccessa)...".
Ora so dove sto andando, ora so che non sarà una passeggiata.

Resto sul sentiero per il colle della Sassa, il numero 6, fino a quando si apre a sinistra un arido vallone, quello che percorrerò; ho guadato il torrente, fotografato spesso la cima, che più avanti scompare dietro uno sperone roccioso, quindi l'immenso pendio detritico, mobile, rossastro, marziano, che a destra scende per almeno 500 metri dalla becca Chatelè, e quello grigio, lunare, che risaliranno i Biellesi per raggiungere il bivacco, e la comba della Sassa cercando invano di immortalare tutti gli innumerevoli magici scorci.
Sono le 9.35 e ho raggiunto quota 2500.
La traccia è solo un ricordo, ma almeno la pendenza non eccessiva e la moderata consistenza della distesa di pietrisco e sassi sulla quale arranco rendono la fatica accettabile. Sudo, ansimo, mugugno pensando alla palestrina di roccia tranquilla e ombreggiata dove oggi avrei potuto fare un paio di "tiri" prima di stendermi nel prato con un libro in mano.

Ho lasciato la valle principale, già poco frequentata, da neppure mezzora che un gruppo di stambecchi mi attraversa il cammino. Sono 5, il più grande è maestoso, con un pelo particolarmente curato e grandi corna arcuate; si ferma, mi guarda pigramente mentre i metri che ci separano calano, lentamente... sa che non sono una minaccia, forse mi compatisce, inclina il collo e si gratta la schiena con il corno destro, mi snobba... questo è troppo, io lo… io lo… fotografo… e lo ammiro… questa è casa sua, lui è il padrone, sa di esserlo e come tale si muove.
Più in alto mi aspetta una sorpresa: un paio di camosci adulti e 4 cuccioli. Sono immobili, molto vicini, probabilmente cercano di non farsi notare; non mi capita spesso di vederli da pochi metri perchè sono nettamente più timidi, paurosi degli stambecchi. Riesco a "rubare" alcune immagini, poi perdo l'equilibrio e goffamente scivolo sul ghiaione; da terra riesco ancora a scorgerli, lontanissimi, mentre saltano lanciando curiosi "fischi", quasi dei rauchi soffi, brevi e potenti.

Attorno a quota 2950 il pendio detritico termina (finalmente!) in una conca morenica occupata in parte da un piccolo ghiacciaio in fin di vita e delimitata da pareti rocciose dall'aspetto inaccessibile: a sinistra sono brutali, percorse da impressionanti canali punteggiati da massi in precario equilibrio, e scendono direttamente dall'Aouille Tseucca (3554m); a destra sono ripide, rotte, troppo alte, troppo pericolose, e proteggono la sovrastante cima della becca Labie.
Un deposito di neve perenne mi indica il col d'Otemma (3211m), il punto più basso della cresta fra le due vette, quello che dovrei raggiungere risalendo un canale di un centinaio di metri... che non vedo... che non c'è... solo roccia verticale, poi il cielo... non capisco... sono stanco, devo sedermi, riposarmi, respirare, intanto sento che arriva lo sconforto, che mi vince la rabbia... maledette vecchie guide piene di errori, e maledetta la mania di cacciarmi in buchi dove non va nessuno... ho sbagliato valle... impossibile, c'è il ghiacciaietto, ma non c'è il passo... è franato tutto...

Ore 11.00. Sono accoccolato su un masso da almeno 20 minuti, sto mangiando una piccola pasta e bevendo succo di frutta, mi sono coperto perchè il vento è fresco e sto fissando il muro laggiù, oltre la distesa di neve e ghiaccio, quasi potessi abbatterlo con lo sguardo, o sorvolarlo solo volendo.
"... attraversare il campo di neve... il canale incide la parete rocciosa... va salito direttamente... oppure sulle rocce alla sua sinistra...".
Ok, non ci vuole poi tanto a calzare i ramponi e arrivare a toccare un limite reale che probabilmente sarà impossibile valicare, sta nel gioco, non è la prima e non sarà l'ultima cima che mi respinge, indifferente alle gocce salate che dalla fronte malefiche mi calano negli occhi, al fiatone, a mille e mille passi su ciotoli che minano i polpacci...

Alle 11.40 attacco il canale: c'è, ma subdolo taglia la parete obliquamente, verso sinistra, ed è visibile solo nel momento in cui vi si trova quasi a fianco.
Servono 35 minuti di attenzione: alterno tratti all'interno di questa gola verticale (scarica e a metà giornata raccoglie l'acqua che scende dal nevaio sopra) ad altri di arrampicata su roccia compatta (passi di II, probabilmente pochi metri di III, chiodo in loco), poi supero un delicato traverso su lastra inclinata con buone prese, facile, ma esposta, rasento la ripidissima lingua di neve immacolata che un'oretta fa mi pareva sulla luna e tocco il col d'Otemma, sulla cresta di confine.

Da qui la Svizzera è come ogni innamorato delle Alpi immagina: vette senza fine, alte, candide o scure di roccia, pareti impossibili da vincere, perchè troppo difficile sarebbe la sfida e poco remunerativo il racconto della stessa, e un fiume di ghiaccio che inizia oltre l'orizzonte e potrebbe finire ovunque perchè ha limiti ben più estesi di quelli dei miei sensi... il glacier d'Otemma è bellissimo e l'Aiguillette (3199m), una piccola piramide di pietra che rompe la sua uniformità, appare come uno scoglio creato apposta per regalare tranquillità, per spezzare una maestosità che riuscirebbe a ipnotizzare producendo un senso di smarrimento... mi piace pensare che è proprio per questo motivo che vi hanno costruito sopra un minuscolo, prezioso bivacco.

Resta da affrontare la cresta ovest della becca Labie.
La cima sembra essere a due passi, eppure non si arriva mai. In pratica qui non c'è un solo masso che resti fermo sotto i miei piedi e i muscoli affaticati rendono questi ultimi metri un piccolo calvario, poi la pendenza aumenta, ma io sghignazzo immaginando che si tratti di un rantolo, l'estremo anelito della bestia che muore, che ho ucciso... oggi vinco io... che pensiero stupido, quanto sono piccolo, fragile, inutile... questa roccia non si accorge che sono qui, è abituata a combattere col ghiaccio, coi fulmini, col vento, ci sarà fra 1000 anni e magari nel frattempo avrà pure sbattuto giù qualche pulce presuntuosa come me...

Ore 12.55. Mi siedo nei pressi dell'ometto che individua il punto più alto della cresta sommitale (3462m); la parete orientale precipita verticale per centinaia di metri, il panorama è vasto, le montagne attorno alte tanto da rimpicciolire questa... capisco che la mia ricerca di cime non finirà mai... capisco di essere fortunato.

Il vento è forte, le nubi a nord-ovest piuttosto cupe e mi aspetta la discesa in quel canale tutt'altro che elementare... e la mia corda riposa in campeggio a 30 km da qui... così lo zaino pesa meno... accidenti a me...
Parto.

...

     
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