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Articolo inserito in data 05/03/2010 17:19:44
Grotte in Sardegna
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GROTTA DI SU BENTU - 25-26 febbraio 2010

Grotta di su Bentu (valle di Lanaitto - Nuoro)

coordinate ED50: N 40°15'22,7" - E 09°29'09,1"
quota:                  206m slm

Campo interno al campo Chessa (permanenza in grotta: 27 ore)

Percorso effettuato:

a) I Vento - II Vento - Passaggi alti attrezzati - Grande Curva a sinistra - Scappellamento a destra - Campo Chessa
b) Sala Piredda - IV Vento - Sala delle Doline - Sala della Candela
c) Grande Cengia e tirolese - Autostrada

25-26 febbraio 2010

Partecipanti:

Fabrizio Bandini, Gianluca Carboni, Gabriele Rosetti, Matteo Turci, Paperino, l'avatar di Teo e lo spirito guida di Matteo Savorelli

Ciò che colpisce di questa grotta è la dimensione degli ambienti: forre immense, gallerie immense, cenge immense, sale immense tanto che capita di perdervi l'orientamento. Mi volto e lontanissimo noto un compagno d'avventura che si è fermato a fare una foto: la sua luce pare la brace di una sigaretta, eppure sta camminando nella mia stessa condotta, un tunnel colossale scavato da un quantitativo d'acqua che neppure riesco a immaginare.

E' la terza volta che vengo qui dentro e sono particolarmente agguerrito, nel senso che oggi non mi accontenterò di una semplice passeggiata; sono tuttavia consapevole che sarà impossibile raggiungere le zone più remote perchè abbiamo a disposizione 25/30 ore al massimo, non ricordo alcuni tratti della strada per arrivare al campo Chessa, dove dormiremo, mai sono andato oltre lo stesso e probabilmente troveremo zone allagate.

Come arrivare all'ingresso:

occorre andare verso su Gologone e appena prima del piazzale col parcheggio deviare a destra. Si supera una fonte, poi una cava-fornace e si scende nella valle di Lanaitto; la strada, prima col fondo in lastre di cemento, diventa sterrata e accidentata, ma sempre percorribile.
A una evidente biforcazione ci si tiene a destra e dopo alcuni chilometri e vari saliscendi si lascia l'auto nei pressi del rifugio sa Oche.
Il sentiero, ben battuto, è dietro all'edificio, curva blandamente a sinistra e guadagna quota con regolarità nel bosco. Bastano 5 minuti di cammino per raggiungere il grande antro in cui, aldilà di un gradino roccioso e un cancelletto metallico, si apre il I Vento.

Descrizione del percorso effettuato:

- fino al campo Chessa è possibile in qualche caso confondersi, ma non perdersi... comunque è attualmente presente un cavo telefonico che risolve ogni dubbio!
Noi abbiamo usato una corda da 20m e un paio di piastrine per armare il pozzo che si trova subito dopo il I Vento. Seguono una sala e una risalita (corda fissa), poi alcuni ambienti spaziosi e il II Vento (il solo punto in cui si striscia). Superato un pozzetto (corda fissa) ci arrestiamo di fronte a un impressionante sprofondamento (in basso ci sono i laghi che tempo addietro era indispensabile superare con i canotti, una barriera naturale che ritardava la progressione verso le zone interne di una decina di ore): a destra, poco più in alto, notiamo le due funi con le quali inizia il lunghissimo tratto attrezzato (400/500 metri) che ci porterà alla Grande Curva a sinistra. Qualche settore esposto, un minimo di attenzione e prudenza per non scivolare (l'enorme meandro che "sorvoliamo" è profondo fino a 40 metri), una risalita e un paio di calate (corda fisse), ma soprattutto una traversata in quota che pare non finire mai.
La ferrata termina dopo una netta curva a sinistra, sull'orlo di un salto di una decina di metri (corda fissa).
Ignoriamo la base della galleria su cui atterriamo e l'evidente scivolo (tre vie con verticali che portano al livello base, quello con i laghi) e risaliamo nella parete opposta a quella di discesa (presente una corda fissa, ma le volte precedenti non c'era... in ogni caso si tratta di una breve e facile arrampicata), quindi proseguiamo attraversando in parete fino a raggiungere di nuovo la base del meandro.
Pochi passi fra spettacolari rocce lavorate dall'acqua e per aggirare una marmitta saliamo a sinistra su belle vasche concrezionate; l'ambiente è splendido, fiabesco.
Una curva (Scappellamento a destra) precede un lago che superiamo a destra mantenendoci a un metro d'altezza; rimangono da affrontare una paretina (corda fissa a destra) e un traverso attrezzato in parte esposto per sbucare finalmente in una sala immensa: il buio davanti a noi e a destra è impenetrabile, poi gli occhi si abituano a un tale spazio vuoto e oscuro, e riescono a individuare sfumate pareti lontane.
Proseguiamo dritto camminando in salita e ci fermiano quando il terreno diventa sabbioso, in piano: siamo al campo Chessa, dove ci liberiamo dei micidiali sacchi ingombranti e pesanti, fra un paio d'ore ceneremo e passeremo quel che resta della "notte" riposando, tentando di dormire.

- Verso e oltre il IV Vento: ci hanno detto che probabilmente troveremo il sifone chiuso, in ogni caso è in quella zona che dobbiamo andare per riempire la tanichetta d'acqua potabile per cui retrocediamo fin quasi al punto in cui eravamo entrati nel gigantesco androne e saliamo a sinistra, nel buio che arrivando avevamo notato alla nostra destra. Questa in cui ci stiamo muovendo è la sala Piredda; in alto oltrepassiamo un fastidioso crepaccio, ancora più su troviamo una corda fissa che permette di issarci lungo uno scivolo, poi non possiamo evitare di sparare decine di foto in un'incantevole cameretta concrezionata.
Scendiamo per qualche metro (corda fissa) e a sinistra ci imbattiamo in una curiosa fontanella: l'acqua sbuca inspiegabilmente da una fessura in una struttura di roccia simile a un grande paracarro; non sarebbe comunque stato un problema rifornirsi perchè subito dopo, lungo la galleria semiallagata che conduce al IV Vento, incontriamo una rumorosa cascata.
Proseguiamo poco fiduciosi tentando di non bagnarci e restiamo sorpresi quanto riconosciamo l'inquietante sifone e percepiamo la forte corrente d'aria che transita nei 20 centimetri non sommersi: "che culo, si passa... forse... provo... ecco la maniglia... cazzo, se mi incastro... è andata..."
Aldilà una bassa camera ha l'aspetto labirintico e mostra chiari segni di frequenti allagamenti; ci manteniamo a sinistra percorrendo in discesa uno scivolo e sbuchiamo nell'enorme sala delle Doline, impressionante, ma se possibile ancora più grande è quella successiva, la sala della Candela, colossale, inebriante, sconvolgente, tanto da provocare una leggera vertigine.
Purtroppo è tardi e inutile andare avanti (da qui la grotta si sviluppa per chilometri verso le diramazioni più lontane), quindi torniamo al campo Chessa.

- Verso la Grandissima Frana, fino al termine dell'Autostrada: 5/6 ore dormicchiando distesi sulla sabbia ben più dura del previsto, una fantasiosa colazione e la partenza in direzione sud sperando di riconoscere la via (le descrizioni di Gianfranco e degli altri Olienesi man mano che aumentava il numero di birre consumate al pub prima dell'ingresso in grotta erano diventate più confuse, o era calata sensibilmente la mia capacità di recepirle e memorizzarle) e di non trovarla allagata... ecco la celebre tirolese necessaria per "volare" a 40 metri d'altezza da un lato all'altro dell'enorme meandro: è armata con due corde e lunga pochi metri, così risulta più facile del previsto affrontarla.
Proseguiamo sulla Grande Cengia attrezzata con una fune fissa che ci guida fino al punto in cui occorre calarsi: il salto è spettacolare, nel vuoto, e abbiamo utilizzato una corda da 50m per armarlo (probabilmente ne basta una da 40); non arriviamo alla base, ma ci fermiamo a 7/8 metri dalla stessa in un terrazzo da dove parte in leggera salita una corda fissa. Anche il saltino successivo ha una corda fissa, ma è consigliabile "allungarla" in basso con uno spezzone di pochi metri per completare in sicurezza la discesa.
Notiamo un'altra corda che sale subito a sinistra sparendo in una finestrella; sopra c'è una galleria sabbiosa che precede una camera con belle concrezioni. A destra individuiamo la prosecuzione; presto curviamo a sinistra e scendiamo verso uno scivolo che armiamo con una corda da 30m.
Ora la via è relativamente evidente, nel senso che si resta quasi sempre sul fondo del meandro, fra spettacolari formazioni rocciose, splendidi laghi, insidiose marmitte che paiono vuote tanto l'acqua è limpida, e più avanti poderose concrezioni. Il problema è come evitare di finire a bagno fino al collo, o di affondare in pozze profonde vari metri: si supera qualche lago rasentando la riva dirupata, camminando in 40/50 cm d'acqua, a volte si riesce ad attraversare in parete senza difficoltà, ma in alcuni tratti occorre maggiore attenzione, come quando ad esempio un'elegante marmitta perfettamente rotonda e piuttosto profonda ci sbarra il cammino e ci costringe ad aggirarla da sinistra sfruttando manigliette nella roccia lavorata e una pendenza non eccessiva, a scavalcare una lama oltre la quale possiamo infine risalire una frattura a sinistra, evitando in tal modo anche la marmitta vicina. Poi un saltino di un paio di metri precede un grande tunnel dal fondo sabbioso che ci inganna perchè presto, aldilà di una fessura dalla forma ambigua, si chiude: per prendere la via giusta bisogna ignorarlo e risalire a sinistra un breve scivolo non troppo evidente.
La galleria, chiamata non a caso Autostrada, è quasi rettilinea; vi incontriamo salette, mucchi di ghiaia, bellissimi laghetti più o meno profondi, enormi concrezioni precipitate dall'alto e immense colate che paiono intenzionate a impedirci di proseguire. Riesce invece a fermarci un grande lago dove occorrerebbe immergersi e nuotare: a sinistra è forse possibile arrampicare per 6/7 metri (Pietro, speleologo di Oliena, mi dirà in serata che normalmente da lì sale uno a sistemare una corda per gli altri), ma non avendo certezze sul percorso e una corda con la quale eventualmente assicurarmi in discesa, non me la sento di provare... fra l'altro è tardi e dobbiamo evitare che chi ci attende fuori si allarmi e organizzi un recupero, per cui concediamo a Teo un tentativo, inutilmente riuscito, di attraversamento "a mollo" (... ha la testa vuota, e galleggia facilmente...) e retrocediamo verso il campo Chessa.

Note sulla spedizione:

- per raggiungere i luoghi indicati sopra abbiamo utilizzato corde da 20m, 50m, 30m, uno spezzone da 3/4m e due cordini, 8 moschettoni e 2 piastrine; per la tirolese è utile, ma non necessaria, una carrucola.

- Teo riesce a progredire per 20 ore in grotta con due sacchi appesi addosso, è indistruttibile, un mito... tuttavia non è capace, e neppure consapevole di non esserlo, di passare un sifone... non si accoppa, non affoga solo perchè l'incrollabile fede gli garantisce divine protezioni;
- in compenso io, Gianluca, ho già esaurito la dose di fortuna sulla quale potevo contare quest'anno: un volo per terra, di schiena, da 2 metri d'altezza, dopo la rottura di una presa su concrezioni marce dove potevo tranquillamente evitare di andare, e giù non ho trovato roccia, lame, pietre, scallops, ma sabbia, solo morbida sabbia...
- Gabriele "Maio" ha una notevole e insospettata capacità organizzativa che lo rende utilissimo in una spedizione di questo tipo; senza di lui avremmo perso metà del materiale e non saremmo stati in grado di riordinare la sede del gruppo di Oliena, dentro la quale abbiamo bivaccato per un paio di giorni... peccato che beva birra prima di andare in grotta, con rovinose conseguenze per la sue già limitate potenzialità atletiche, e apprezzi la pizza con le patate fritte sopra...
- Bicio, alias avatar di Teo, amico di Paperino e dei suoi 5 nipotini (Qui, Quo, Qua, Alì e Alà), è difficilmente definibile: passa ovunque dicendo che non ce la farà mai a passare, non tocca alcolici e si frantuma lo stomaco con decine di cocacole, pepsi, crodini, ecc, perde oggetti e li cerca per ore accorgendosi alla fine di averli sempre avuti in mano, ragiona su tutto e si dimentica di averlo fatto, è tanto affidabile quanto suonato... se non esistesse bisognerebbe inventarlo...
- una spedizione di questo tipo può riuscire, essere soddisfacente dal punto di vista dei risultati e divertentissima, solo se partecipano personaggi notevoli e affiatati come i 4 somari elencati sopra.
- Lo spirito guida di Matteo Savorelli si è rivelato particolarmente utile e offre un considerevole vantaggio rispetto all'originale in carne e ossa, può cioè essere ripiegato e messo nel sacco nel momento in cui decida, come spesso fa l'individuo reale, di rompere i coglioni per il caldo, il freddo, il peso, la corda, il moschettone, la polvere, la fame, la sete, lo spazio, la luce, il buio...
- L'esperimento dell'avatar è fallito: la mente di Bicio nel corpo di Teo, poi quella di Teo nel corpo di Bicio, poi entrambe nel corpo di un anellide e quella dell'invertebrato vermiforme divisa fra i due... nessuno dei noi testimoni si è accorto della differenza...

Alcune foto sono di Fabrizio Bandini, Gabriele Rosetti e Matteo Turci, dello Speleo Club Forlì

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