Mi rendo conto che non ho molte cose da dire sugli Echo & the Bunnymen; mi accorsi di loro nel 1984 quando mi capitò di sentire per la prima volta "The Killing Moon", una delle più belle canzoni degli anni '80, elegante, sensuale, perfetta... sì, una canzone semplicemente perfetta per descrivere l'atmosfera ammaliante che i migliori gruppi new wave riuscivano a creare... e subito acquistai l'album "Ocean Rain". Ascoltandolo capii che la loro musica era più complessa di quanto credessi, che evidenziava interessanti sfumature, svariati influssi che non riuscivo a identificare, che meritava perciò un approfondimento e un'attenzione più continua, ma in quel periodo avevo soprattutto voglia di lasciarmi coinvolgere da qualcosa di più immediato, comprensibile, entusiasmante, e presto dimenticai gli Echo per dedicarmi totalmente a Depeche Mode, Cure, Simple Minds e U2.
Da allora il tempo è passato, tantissimo. Qualche mese fa venni a sapere che esistevano ancora, che sarebbero venuti in Italia, a Senigallia, per un concerto: rimuginai per un paio d'ore, ma già avevo deciso che saremmo andati perchè mai mi era successo che una canzone non ascoltata per 20 anni mi riesplodesse in un attimo in testa portandomi a canticchiare versi inventati per ritrovarne la melodia, e in tal modo si risvegliassero, inaspettatamente e con facilità, emozioni sepolte, ricordi lontani, di quelli che ti bloccano a fissare fuori dalla finestra senza accorgerti di farlo, avendo perso la capacità di vedere e distinguere perché la mente ha dissolto l'universo in mille colori... e intanto canticchi versi inventati...
Scopriamo che Ian McCulloch è un personaggio carismatico, ha una voce inconfondibile e sa usarla, ipnotizza quando gioca coi toni profondi, riesce inoltre a calamitare l'attenzione, ogni nostro sguardo, incuriosito, meravigliato, incantato, rimanendo quasi immobile, in posa, immerso in una nebbia artificiale e con luci soffuse alle spalle, viola, blu, gialle, tali da lasciare sempre nascosto il suo volto, nell'ombra, tali da disegnare la sua figura scura su uno sfondo che fluttua, impalpabile... un quadro affascinante.
Poi improvvisamente, grazie soprattutto alla notevole chitarra di Will Sergeant, altro membro storico della band, e a un batterista ispirato ed energico, il ritmo cambia e la magia si spezza, l'aria diventa elettrica e ci travolge un rock straripante che pare elementare come quello punk degli anni '70, ma in realtà è ben più articolato, ricco di sfumature che manifestano radici lontane, e la voce di McCullogh le accentua rievocando a tratti la seducente intensità dell'inimitabile Jim Morrison.
Gran bel concerto, quindi, dal mio punto di vista anche sorprendente per la qualità degli artisti e di canzoni che vanno ascoltate più volte per poter essere assimilate compiutamente, come meritano... i chilometri percorsi in autostrada per raggiungere la cittadina marchigiana non sono stati inutili, tutt'altro... fra un paio di minuti uscirò da casa e acquisterò una puntina per giradischi in sostituzione quella spezzata mesi addietro (non possiedo loro cd, ma solo il vecchio lp), quindi rispolvererò "Ocean Rain" e questa volta non ripeterò l'errore, dovuto a inesperienza, superficialità e pigrizia, di dimenticare gli Echo & the Bunnymen. |