A volte, raramente, si ha la fortuna di assistere ad eventi artistici dei quali è difficile comprendere all'istante la reale portata. Può succedere a una mostra d'arte contemporanea, a teatro, al cinema, oppure a un concerto. Già il fatto di essere presenti contribuisce a rendere "normale" ciò che stiamo vedendo, così risulta quasi impossibile rendersi conto che le opere di un contemporaneo che abbiamo di fronte saranno ammirate fra cent'anni come noi oggi ammiriamo quelle di Monet, di Van Gogh, di Picasso, di Dalì, di Chagall, di Boccioni, o di Rodin, di Giacometti, e che gli show di una giovane band saranno ricordati fra decine d'anni come quelli ai quali avremmo desiderato partecipare in passato di Doors, Who, Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Led Zeppelin.
Sono convinto che questa fortuna mi sia capitata qualche sera fa allo stadio di Milano, al concerto dei Muse. Non riesco a trovare un solo particolare che non fosse ad altissimo livello: scenografia splendida, tecnologica, strabigliante, spaziale, ma anche affascinante, romantica, mai preponderante sulla musica e sempre in simbiosi con essa... una musica moderna, bellissima, ricca di sfumature e riferimenti, travolgente e trascinante quando accelera, emozionante e seducente quando rallenta.
E' disarmante la facilità con cui Matthew Bellamy tocca picchi altissimi esprimendosi sul palco: canta benissimo, usa la chitarra in modo tale che nulla sembra essergli precluso, si accompagna al piano nei brani più profondi, malinconici e seducenti con una naturalezza che incanta, e ogni volta sorprende; sono poi bravissimi sia il bassista, Christopher Wolstenholme (questo strumento ha un'importanza notevole, fondamentale nell'esecuzione delle canzoni dei Muse dando alle stesse uno stile originale e riconoscibile, un vero e proprio marchio di fabbrica) che il batterista, Dominic Howard (non è banale il suo modo di suonare, e a lui, fra l'altro, si devono le intuizioni nell'arrangiamento ritmico capaci di amplificare l'effetto pirotecnico della loro musica).
Hanno quindi i "numeri" per lasciare un segno duraturo: creatività, capacità, energia da vendere, il coraggio, la personalità e la sfrontatezza che gli permettono fra l'altro di trarre evidente ispirazione da artisti e gruppi celebri, riprenderne il discorso proponendo inaspettate, preziose evoluzioni fantasiose e distorte.
Prima ho elencato una serie di "mostri sacri"; non sono impazzito, è certo che ad oggi i Muse non valgono, ad esempio, i Pink Floyd e probabilmente mai avranno la loro forza innovativa ed evocativa, ma reputo che se riusciranno a mantenere per qualche anno ancora una simile qualità nella composizione e nell'esecuzione dal vivo, a pubblicare 2 o 3 nuovi album senza ripetersi, confermando ambizioni e risultati, faranno sì che le loro esibizioni saranno ricordate ed elencate in futuro insieme a quelle dei più grandi di sempre. |