Questo lavoro, così concepito per una rivista di speleologia a carattere regionale, sarebbe stato pubblicato solo a patto di snaturarne la sua prima parte, di eliminare cioè tutte le sensazioni volutamente inserite per provare a descrivere cosa spinga esseri in apparenza normali a imbarcarsi nelle avventure bizzarre, eroiche, meravigliosamente assurde, che li rendono speleologi. Non ho ritenuto giusta una simile scelta per cui, d'accordo con l'amico, geologo Enzo Lucchi, che ha visitato la grotticella in questione, curato le note scientifiche fondamentali per inquadrarla e che considera il nostro, nel suo insieme, un buon articolo, ho preferito ritirare e presentare lo stesso qui, garantendone l'integrità.
La storia di "UN PIEDE NELLA FOSSA"
di Gianluca Carboni - note di Geologia a cura di Enzo Lucchi
"Passeggiata lungo i crinali del monte Mauro, toccando la chiesetta, la grotta dei Banditi e la grande sella di Ca' Faggia. Sandra e Matteo non sono mai stati in questa zona; Lorena sì, un paio di volte, ma con mete speleologiche ben precise. Al ritorno li porto a vedere l'ingresso dell'abisso Bentini (F10) e quello del Biancospino decantando le possibilità esplorative di queste doline, valloncelli e pendii. Fondamentale è la fortuna, ma lo è pure l'abitudine a girare, passeggiare, guardarsi attorno, uscire da schemi, convenzioni... sentieri... così basta una deviazione casuale durante un'escursione neppure programmata, ma in una zona carsica di grande importanza, per imbattersi in un pozzetto, un'apertura circolare di 60 cm di diametro, quasi finirci dentro... La voce di Matteo, incuriosita, eccitata, incredula: "Ehi, venite a vedere che razza di buco c'è qua!" ..."
Inizia in questo modo la storia, quella a dimensione umana, di UnPiNeFo... Un Piede nella Fossa. La sera del giorno dopo, due anni fa, tornammo lassù Matteo ed io con una vanghetta, un secchio e una corda; lui aveva compiuto gli anni e a causa dei festeggiamenti organizzati dai vecchi amici le sue condizioni fisiche e mentali erano precarie, ma ugualmente aveva ricordato di portare con sé un cartello col quale farsi fotografare nel "nuovo" buco per testimoniare al mondo che "un piede nella fossa" l'aveva davvero, e in tal modo nacque il nome della grotticella dove a nostra insaputa negli anni successivi ci saremmo trasformati in caparbi cavatori.
Presi l'abitudine di tenere un diario, di aggiornarlo con cura perché ero eccitato, convinto che mi sarebbe stato utile quando avremmo deciso di curare una pubblicazione su quella che nei nostri sogni sarebbe stata in Romagna la scoperta speleologica più importante dell'ultimo decennio; da questa serie di note e piccole relazioni che raccontano di speranze, delusioni, congetture, imprevisti, idee, di infiniti scavi, sto traendo ispirazione ora: dopo tanto tempo e altrettanti sforzi abbiamo ancora terriccio da estrarre sotto ai piedi, sulla testa, quasi ovunque, non siamo arrivati alle "vie sotterranee dell'acqua" a sud-est dell'abisso Bentini e neppure scesi a oltre 20 metri di profondità, ma almeno abbiamo raggiunto lo scopo di pubblicare uno scritto, anche se solo un articolo divulgativo, dove parliamo dei nostri pirotecnici tentativi esplorativi a Unpinefo.
La grotta si trova in un piccolo pianoro nel bosco a 415 metri slm, nei pressi di una pista forestale e dei ruderi di ca' Monti, 30/35 metri sopra allo stretto meandro con cui si chiude il buco del Biancospino; le coordinate ED50 dell'ingresso sono: N 44°14'33,6" – E 11°41'29,6". Quello che all'inizio era un semplice buchetto profondo poco più di un metro è diventato un bel pozzo a cielo aperto con pareti lisce e compatte, evidentemente lavorato da un notevole quantitativo d'acqua; ad oggi non conosciamo la sua altezza reale perché a – 11m, dopo un restringimento e un leggero spostamento in direzione 310° del suo asse verticale, presenta ancora una base formata da terriccio facilmente asportabile.
Ho scritto di "infiniti scavi" e "terriccio facilmente asportabile": è difficile calcolare quante tonnellate di materiale abbiamo estratto fino ad ora, spiegare cosa ci abbia spinto, seppur con lunghe pause, a continuare, perché se si esclude il minuscolo sprofondamento iniziale non abbiamo incontrato una sola spanna di spazio vuoto. Un detrito fine, sterile, in gran parte composto da gesso polverizzato, con qualche sasso e un paio di macigni pesanti una trentina di chili, riempiva completamente il pozzo, e ne ottura attualmente la parte inferiore; forse furono gli abitanti della vicina ca' Monti a tapparlo ritenendolo a ragione pericoloso, o forse furono gli stessi operai che tracciarono la pista d'accesso al casolare a individuarvi un luogo comodo in cui gettare i residui della lavorazione. E un immenso quantitativo di terra poco compatta riempiva completamente la faglia regolare che abbiamo intercettato là sotto, in cui stiamo tuttora scavando cercando di seguire il cammino dell'acqua che millenni fa ci precedette lasciando sulle pareti rocciose segni così evidenti del suo passaggio; furono antiche frane a otturare quest'ultima, forse una poderosa, improvvisa, o forse tante minori in seguito ad assestamenti voluti da una Natura che opera ubbidendo a leggi universali, quindi giustamente incapace di tenere in considerazione i nostri futuri tentativi, in fondo inutili, di transito.
Una frase ritrovata nel diario aiuta a capire come sia stato possibile passare quelle notti, decine, faticando enormemente in un buco per noi tanto avaro di risultati eclattanti, rinnovare l'interesse e l'entusiasmo nonostante i dolori a muscoli e tendini, chiarisce il perché qualcosa ci induca ancora a partire armati di vanghe, secchi, sacchi, carrucole, birra (in effetti l'amicizia che lega gli storici "cavatori" forlivesi coinvolti, lo spirito goliardico capace di trasformare in divertimento ogni orrido impegno, sono un propellente straordinario...) pur sapendo che là dentro potrebbe esserci un quantitativo di terra tale che mai riusciremo a oltrepassarlo: "togliere le tonnellate di detrito che per un qualche motivo tappano una grotta regala la sensazione di vederla nascere, l'impressione di percepirne la crescita: ogni volta è diversa, cambia forma, ispira ipotesi che puntualmente vengono smentite, uno spazio vuoto che si modifica, si crea sotto ai nostri occhi limitato da pareti rocciose che siamo noi stessi a disegnare scavando. Così ognuno di noi "vive" questa grotta, la sente in modo personale".
Aldilà del pozzo individuammo una finestra di forma vagamente rettangolare, definita in basso da un setto roccioso, come sempre ostruita da terriccio. Proseguire i lavori in verticale ci avrebbe impedito di curiosarvi per cui, anche se pareva atipica la presenza di una condotta in tale posizione, ad una altezza non valutabile del pozzo stesso che ogni indizio indicava come via preferenziale percorsa in passato dall'acqua, decidemmo di liberare quello che nelle nostre erronee convinzioni si sarebbe alla fine dimostrato un semplice pertugio, una banale, beffarda rientranza: era invece una faglia, la frattura, in questo punto larga mediamente 60 centimetri, perfettamente definita e con poderose pareti parallele, che caratterizza la zona e lungo la quale probabilmente si svilupparono il buco del Biancospino e Unpinefo. Scavammo in orizzontale per 6/7 metri incontrando uno slargo di forma circolare che poteva sembrare una marmitta e l'inizio di uno scivolo molto inclinato; ad oggi in questo settore abbiamo terra sulla testa, molto compatta (speriamo...), e sotto ai piedi, facilmente penetrabile con un sondino metallico per oltre un metro, in ogni punto; il corridoio svuotato è alto un paio di metri e alla fine si stringe irrimediabilmente, ma lo scivolo che si trova quasi 2 metri prima sta pian piano assumendo l'aspetto di un vero e proprio pozzo, tanto che vista l'esigua larghezza e l'attuale profondità di oltre 3 metri, è difficile estrarvi materiale e soprattutto uscirne.
Terra ovunque, quindi, e mai un centimetro di base rocciosa calpestabile, mai una chiusura definitiva che ci costringa a cambiare obiettivo, o a desistere definitivamente. Scaveremo sotto allo scivolo dopo aver provato ad allargarlo, e appena prima in quella che non è una marmitta, ma una curiosa condotta verticale, e nel punto in cui abbiamo inteccettato la faglia, e infine nel pozzo... scaveremo finchè esisteranno sacchi da riempire e bottiglie di birra da svuotare...
"Al buio il bosco è inquietante, lo sono i rumori, gli scricchiolii, guaiti, latrati, fischi, soffi... ma che razze di animali lo popolano? Sono fuori e ho la corda nelle mani in attesa di recuperare il pesante sacco, del grido che mai arriverà per comunicarmi l'apertura improvvisa di un anfratto soffiante, e non posso evitare di voltarmi in continuazione per cercare di individuare l'inesistente mostro minaccioso che ha preso forma solo nella mia testa; l'oscurità e la mia stanchezza lo rendono vivo come i due amici che 15 metri sotto di me stanno scavando, più di loro che neppure immaginano quali fastidiose sensazioni stia provando. Mi fa compagnia il paperino portafortuna, lì vicino al fuoco, ma non può proteggermi... mi volto ancora pronto a difendermi o a fuggire saltando nel buco..." "Nei nostri giri notturni nel bosco abbiamo incontrato cinghiali, caprioli, uno splendido istrice e sentito versi di ogni tipo; questa volta ci hanno sbalordito i minuscoli lampi bianchi di migliaia di lucciole... una semplice, spettacolare, incredibile magia..." Ecco, è un incantesimo a spingerci ancora lassù.
Note di Geologia
Sappiamo che molti speleologi amano questa scienza... a patto che non se ne parli a lungo, così diamo solo alcune indicazioni geologiche di massima, soprattutto per capire di cosa stiamo parlando e per ipotizzare cosa potrebbe aspettarci proseguendo nell'impresa, evitando in tal modo di stressare l'eventuale lettore con congetture e/o estrapolazioni troppo "specialistiche".
Come abbiamo detto la nostra grotta si trova presso monte Mauro, nel suo versante occidentale; si apre quindi all'incirca nella parte centrale della Vena del Gesso, non a caso nell'area di maggior affioramento della stessa. La Vena del Gesso a ovest di monte Mauro e più in generale tutta quella posta sulla destra idrografica del torrente Senio, è caratterizzata dalla presenza di 4 potenti banchi selenitici dallo spessore complessivo di circa 100 metri, preceduti da 2 "sottobanchi" sempre di selenite. Considerando anche quelli superiori, si ha un totale di 13 banchi separati da sottili intercalazioni marnoso-argillose. I banchi inferiori sono anche i più puri, con un tenore di oltre il 90% di gesso; andando verso l'alto, al diminuire della potenza degli strati, subentrano le altre "Facies" gessose (v. selenite nodulare e lenticolare, ecc.) e cala anche la purezza del gesso, mentre aumenta la frequenza degli interstrati marnoso-argillosi. La direzione media degli strati "principali" è 110°-120° e l'inclinazione media 30°-40°. I gessi affiorano solo negli spartiacque presenti nella zona, mentre gli impluvi sono ricoperti da sedimenti argillosi (residuo di dissoluzione carsica) e da un fitto manto vegetale.
Nel versante SW della locale Vena del Gesso sono visibili parecchie faglie dirette che tagliano trasversalmente la Vena stessa con direzione variabile da NE-SW a NNE-SSW. Tali faglie si seguono a fatica o non si seguono affatto nel lato NE perché sono di solito all'interno degli impluvi che, come si è detto, sono interessati da una fitta copertura vegetale. La tettonizzazione cresce sensibilmente andando da monte della Volpe verso monte Mauro. Le faglie trasversali si infittiscono e aumentano di rigetto presso l'inghiottitoio del Rio Stella; qui si può vedere il famoso "Graben", riprodotto in tante immagini fotografiche e assunto un po' a simbolo della Vena del Gesso per motivi sia estetici che scientifici: oltre alla maestosità, infatti, e alla indubbia bellezza del sito, che è apprezzato anche dai visitatori più esperti e smaliziati, questo particolare settore offre la possibilità di misurare e cartografare agevolmente almeno 15 banchi gessosi (il più alto numero di tutta la Vena). Procedendo verso monte Mauro, alle numerose faglie trasversali si aggiunge un sistema di grosse faglie longitudinali aventi direzione NW-SE, parallele cioè alla Vena e sub-perpendicolari alle prime, che risultano dislocate dalle stesse e quindi sicuramente più antiche. Le complicazioni tettoniche della zona di monte Mauro rendono difficoltosa la distinzione cartografica fra banchi inferiori e banchi superiori. In prossimità di alcune faglie gli strati raggiungono la verticalità o addirittura si rovesciano con la comparsa di gesso selenitico dei banchi inferiori e a volte addirittura del calcare di base. Le maggiori doline della zona risultano allineate lungo le maggiori faglie presenti.
Anche la nostra piccola (per ora...) grotta è impostata su una faglia, trasversale alla Vena, ed è allineata col vicino buco del Biancospino. L'andamento della parte finora scavata ed esplorata è all’incirca S->N, mentre il settore attualmente terminale pare dirigersi verso NNE (la bussola indica più o meno 20°E). La stratificazione interna sembra poi concordante con quella media della Vena e la locale inclinazione degli strati è di circa 25°-30°. Il tutto fa ben sperare anche perché gli strati, leggermente "sfalsati" fra il lato est e il lato ovest, si vedono al momento in modo chiaro solo sulla parte finale del percorso liberato, che quindi si rivela come un tipico allargo carsico di una dislocazione tettonica precedente. La morfologia del pozzo, con le tipiche ondulazioni da erosione, indica un notevole pregresso passaggio di acqua... dove finiva in tale quantità? Potrebbe la nostra grotta essere la parte "fossile" di un complesso carsico vicino e conosciuto? Le domande sono stimolanti e rendono meno difficile del solito trovare speleologi volonterosi, favoriti se magri, disposti a continuare il lavoro di scavo.
Pianta: schizzo particolareggiato
Sezione: schizzo particolareggiato
"Prima notte di scavo"
"Scavo nella parte superiore del pozzo d'ingresso"
"Pozzo d'ingresso"
"Il Paperino portafortuna accanto al falò"
"Imbocco del pozzo d'ingresso e treppiede (scavo invernale)"
"Pozzo d'ingresso da fuori"
"Pozzo d'ingresso dall'attuale base di terriccio (-11m)"
"Faglia a -11m"
"1° aprile: scavo nella parte inferiore della faglia (-14m)"
"Determinazione della direzione della faglia e dell'inclinazione degli strati" |